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Evento 24 Febbraio
Il negozio di psicologia è lieto di invitarvi il 24 Febbraio 2015 alle ore 20.00 presso il risto-bar Profumo di Sole (via L’Aquila 18/20, Pescara) all’incontro conoscitivo della tecnica EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).
L’EMDR è una tecnica psicoterapeutica indicata nelle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Scopo dell’incontro è presentare il funzionamento della mente, l’impatto delle esperienze stressanti e come poterle affrontare.
Programma
– Introduzione all’EMDR
– Dimostrazione pratica
– Presentazione del libro di auto-aiuto “Lasciare il passato nel passato” di Francine Shapiro
– Menù Vegetale: Tris di cereali, legumi e verdure. 1 centrifugato, birra o calice di vino a scelta. The, caffè e dolcetti.
Il costo è di 8 euro a persona.
E’ gradita la prenotazione tramite email a info@ilnegoziodipsicologia.com oppure telefonando o tramite sms e whatsapp al numero 331/9755129.
La TCC (terapia cognitivo comportamentale)
La Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) e’ una psicoterapia sviluppata negli anni ’60 da A.T. Beck ed A. Ellis, i quali cercarono di costruire modelli per la spiegazione della mente favorendo così lo sviluppo di una serie di tecniche che, oltre al comportamento, propongono la modificazione e il cambiamento dei processi mentali, vale a dire dei pensieri e delle emozioni.
L’insieme di tali metodologie prende il nome di Terapia Cognitivo-Comportamentale.
Principi base
I principi base della TCC sostengono che le emozioni e i comportamenti delle persone vengono influenzati dalla loro percezione degli eventi. Non e’ l’evento in sé, ma la sua interpretazione a determinare il modo in cui lo viviamo, in termini di pensieri, emozioni, comportamenti.
Molto disturbi sono dovuti ad una modalità disfunzionale di “leggere” la realtà, che porta a vivere in preda a paure, ansie, prigioni mentali. Il pensiero influenza lo stato emotivo e la messa in atto di un comportamento piuttosto che un altro.
Da un punto di vista cognitivo, la TCC aiuta le persone ad identificare i pensieri automatici negativi (livello cognitivo più superficiale: pensieri rigidi, veloci, brevi, caratterizzati da distorsioni della realtà) e a sostituirli gradualmente con una modalità di pensiero più realistica e funzionale. Attraverso il lavoro cognitivo, si risale poi alle credenze intermedie (regole e assunzioni disfunzionali) e alle credenze di base o schemi (livello cognitivo più profondo: sono globali, rigide e ipergeneralizzate), giungendo ad una loro messa in discussione e revisione.
Per quanto riguarda il piano comportamentale, la TCC si rifà al modello A-B-C, dove A sta per “antecedente”, B per “comportamento” e C per “conseguenza”.
Una volta individuati i comportamenti target da ridurre ed infine eliminare, si procede all’osservazione sistematica degli antecedenti e conseguenti del comportamento, in modo da ottenere una lettura funzionale del comportamento stesso. L’assunto di base è che ogni comportamento svolge una funzione e l’ambiente (interno ed esterno) può, anche involontariamente, rinforzare la messa in atto di comportamenti disfunzionali.
Allo stesso modo, una persona può persistere nel mettere in atto comportamenti disfunzionali (autolesionismo, vomito autoindotto, abbuffate, ecc,) pur consapevole degli svantaggi cui va incontro, in quanto riceve dei “vantaggi” (es.: cibo come modulatore dell’umore), seppur momentanei e illusori, nell’attuare il comportamento stesso.
Esistono anche “vantaggi secondari” che rendono difficile uscire dal problema, come quelli rappresentati dall’esonero dalla responsabilità e il ruolo da malato che spetta a chi presenta il disturbo all’interno della famiglia.
Caratteristiche
La TCC si caratterizza per:
CONCRETEZZA: una volta effettuata la valutazione del caso si risponde alla prima esigenza del paziente, in ordine d’importanza (“lista dei problemi” riportata dal paziente). Ciò significa che se, per esempio, il paziente soffre di attacchi di panico, la prima cosa è risolvere i sintomi del panico, insegnandogli le strategie utili alla gestione dell’ansia.
QUI ED ORA: la storia del paziente viene raccolta durante l’assessment generale, mentre quella del disturbo o del problema attraverso l’assessment specifico. Ciò è funzionale alla conoscenza della persona e del suo disagio, ma il focus del trattamento è costantemente sul presente.
BREVITA’: la durata della terapia varia di solito dai tre ai dodici mesi, a seconda del caso. La cadenza delle sedute è settimanale, ma, con il miglioramento del paziente, si passa ad una frequenza bimensile, fino a una volta al mese e ai follow-up (controlli a distanza di 3, 6, 9 mesi). Problemi psicologici più gravi, che richiedano un periodo di cura più prolungato, traggono comunque vantaggio dall’uso integrato della terapia cognitiva, degli psicofarmaci e di altre forme di trattamento.
ORIENTAMENTO ALLO SCOPO: Una volta effettuata la valutazione del caso, si stende un Piano di Trattamento che, partendo dalla richiesta di aiuto formulata dal paziente, prevede gli obiettivi concreti da raggiungere con una stima del tempo necessario per raggiungerli. Paziente e terapeuta monitorano, insieme, costantemente l’andamento della terapia anche grazie all’ausilio di test somministrati all’inizio, a metà e a fine del trattamento.
RUOLO ATTIVO DEL PAZIENTE E DEL TERAPEUTA E LORO COLLABORAZIONE: il terapeuta valuta i punti di forza del paziente e fa sì che egli attivi le proprie risorse per risolvere i propri problemi. Il terapeuta “insegna” le strategie e tecniche pratiche di gestione dei sintomi, il paziente ha poi il compito di metterle in pratica. Al termine di ogni seduta vengono assegnati dei “compiti” che il paziente si impegna ad effettuare per la settimana successiva, funzionali all’apprendimento delle strategie terapeutiche. Si cerca di stimolare una risoluzione attiva dei problemi, scoprendo insieme nuove possibilità di azione, più creative, che permettano un miglioramento significativo della qualità della propria vita.
VALIDAZIONE SCIENTIFICA: la terapia cognitivo-comportamentale è una terapia “evidenced-based”, che prevede specifici protocolli di trattamento per ogni disturbo clinico. Diversi studi ne hanno dimostrato l’efficacia.
Psicologo, Psicoterapeuta, Psichiatra… CHE CONFUSIONE!
I nostri clienti chiedono spesso quali differenze ci sono tra le varie figure professionali che si occupano del benessere mentale e psicologico e spesso sentiamo ironicamente dire “forse sono così messa male che dovrei andare dallo psichiatra e non dallo psicologo”….Vediamo nel dettaglio quali sono le differenze.
Psicologo
E’ un professionista laureato in psicologia, che abbia superato l’Esame di Stato e che si sia iscritto all’Albo professionale.
Secondo l’art. 1 della legge di ordinamento della professione di psicologo, la n. 56 del 1989, “la professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito”.
Varie attività, dunque, esclusa la terapia, intesa come cura delle varie forme di disagio psichico e di psicopatologia, che richiede il titolo di psicoterapeuta.
Lo psicologo non può prescrivere farmaci poiché, per questo, è necessaria la laurea in medicina.
Psicoterapeuta
E’ un professionista che può intervenire nella cura dei disturbi psichici e delle malattie mentali. Successivamente alla Laurea in psicologia o in medicina e chirurgia, deve aver acquisito una specifica formazione professionale, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali. La specializzazione e la qualificazione in psicoterapia possono essere conseguite sia presso scuole di specializzazione universitarie sia presso scuole private che abbiano ottenuto il riconoscimento dallo Stato.
Le scuole di specializzazione sono molte e fanno capo a diversi modelli teorici, per cui la formazione degli psicoterapeuti può essere di diversa natura in relazione alla teoria di riferimento.
Psicoterapeuta Cognitivo-comportamentale
Il terapeuta valuta i punti di forza del paziente e fa sì che egli attivi le proprie risorse per risolvere i propri problemi. Il terapeuta “insegna” le strategie e tecniche pratiche di gestione dei sintomi, il paziente ha poi il compito di metterle in pratica. Al termine di ogni seduta vengono assegnati dei “compiti” che il paziente si impegna ad effettuare per la settimana successiva, funzionali all’apprendimento delle strategie terapeutiche. Si cerca di stimolare una risoluzione attiva dei problemi, scoprendo insieme nuove possibilità di azione, più creative, che permettano un miglioramento significativo della qualità della propria vita.
Psichiatra
E’ un laureato in medicina specializzato in psichiatria.
Non è uno psicologo, a meno che non abbia conseguito anche una Laurea in psicologia.
Lo psichiatra può essere anche psicoterapeuta, se segue il percorso di specializzazione per la qualifica di psicoterapeuta. Oltre ai diversi percorsi di formazione, psichiatra e psicologo differiscono per il diverso modo di approcciare il disagio portato dal paziente, poiché il primo mette più in risalto l’aspetto organicista, biologico e genetico, il secondo è più centrato sulla storia personale, sul contesto di vita e sulle capacità e possibilità di cambiamento della persona che richiedono, quindi, un impegno attivo da parte del paziente. Lo psichiatra prescrive i farmaci.
Neurologo
E’ un laureato in medicina specializzato in neurologia. Si occupa di malattie organiche del sistema nervoso centrale, come le malattie degenerative o genetiche ad esempio, in genere attraverso l’ausilio dei farmaci. Non è uno psicoterapeuta, a meno che non abbia conseguito la necessaria specializzazione.
Oggi parliamo di … Ansia e Attacchi di Panico
ANSIA
Ogni essere umano prova ansia. L’ansia è un’emozione, ovvero uno stato discreto del sistema nervoso centrale, un intenso moto affettivo, piacevole o penoso, accompagnato per lo più da modificazioni psicologiche e psichiche.
Le emozioni vengono modificate dal pensiero: esse infatti dipendono, in massima parte, dagli obiettivi e dalle convinzioni dell’individuo; nell’ansia, la possibile compromissione di queste emozioni, a causa di un pericolo, provoca allarme e attivazione di tutte le risorse dell’organismo.
Ansia (dal latino angere, stringere) è un termine indicante una spiacevole sensazione di pericolo che non ha una causa definita e che, quindi, differisce dalla paura per l’indefinitezza della minaccia: la paura di solito ha un oggetto conosciuto, l’ansia no.
Il più delle volte essa è considerata un’emozione spiacevole, perché ci lascia in un angoscioso senso di sospeso, di non risolto.
L’ansia può essere anche un’emozione piacevole (come nell’attesa di un evento lieto o prima di una prestazione di cui ci sentiamo sicuri).
Tutti noi viviamo in larga misura cercando di rendere minime le nostre ansie, di prevedere i possibili scenari, i pericoli futuri, per correggere la nostra condotta e aumentare la probabilità di successo nel conseguimento dei nostri obiettivi.
Gestire l’ansia significa aver trovato delle strategie per ridurre al minimo l’esistenza di situazioni pericolose o “in sospeso”, conflittuali o dubbiose, avere un’ipotesi di pianificazione del futuro in ottica non catastrofica, con conseguente miglioramento delle prospettive decisionali, rilassamento dello stato psico-fisico, riduzione degli effetti dello stress e aumento dell’autostima grazie a un incremento della qualità della vita e della libertà individuale.
Ellis propone una distinzione tra le differenze cognitive di due differenti tipi di ansia:
L’ansia dell’io è caratterizzata da sofferenza emotiva determinata da convinzioni disfunzionali relative principalmente al concetto di valore. Coloro che manifestano questo problema temono il giudizio negativo da parte delle persone ritenute significative perché potrebbe minare l’immagine di se e il concetto individuale di valore personale. Per queste persone il mostrarsi deboli, incapaci o non all’altezza risulta inaccettabile.
L’ansia del disagio è caratterizzata da sofferenza emotiva determinata da convinzioni disfunzionale relative al concetto di insopportabilità. Le persone che manifestano questo problema sono fortemente convinte di non riuscire a sopportare le situazioni temute, interpretate con un’eccessiva drammatizzazione delle conseguenze che ne potrebbero derivare.
Molto spesso le due convinzioni sono correlate in modo tale che l’una influenza l’altra. Per esempio, è possibile che una persona tema di svenire in un luogo affollato, di essere notata dagli altri che le stanno intorno e giudicata male per questo, perdendo così la “faccia”. L’idea che questo possa accadere confermerebbe l’ipotesi legata alla convinzione del soggetto di quanto incapace e senza valore sia.
ATTACCHI DI PANICO
Il panico esprime una profonda e angosciosa paura.
Chi lo sperimenta avverte una perdita di controllo, di dissolvimento del se: la paura (un livello molto forte di ansia), prende il sopravvento sulla capacità decisionale del soggetto che si percepisce in forte pericolo e senza risorse per reagire, in una sorte di stato dissociato.
Si instaura un circolo vizioso: il soggetto si spaventa, gli effetti della paura (come la tachicardia) vengono interpretati in modo catastrofico (per esempio un possibile infarto); questo aumenta l’idea di pericolo e l’attivazione fisiologica (la tachicardia aumenta).
Soffrire di attacchi di panico o ansia, significa esperire frequentemente forti stati ansiosi, con lunghe e faticose ruminazioni, che talvolta sfociano in paura di poter soffrire fino a poter morire.
La sintomatologia somatica (avere caldo, tachicardia, respirazione affannata..) diviene un possibile segnale di un nuovo attacco.
La paura della paura porta il soggetto a diventare molto attento a evitare situazioni che valuta pericolose e/o imprevedibili e ad un costante automonitoraggio (ruminazioni) sulle proprie sensazioni corporee, segni premonitori di un possibile attacco imminente
Dal libro HOMEWORK: un’antologia di prescrizioni terapeutiche, Franco Baldini